Il progetto di scuola popolare a Taranto, l’esperienza della Casa Occupata di Via Garibaldi

Praticare un modello alternativo di educazione vuol dire costruire forme nuove di insegnamento e apprendimento, relazioni e legami sociali basati sulla solidarietà e la cooperazione contro l’ideologia della competizione e della meritocrazia. L’obiettivo del processo di educazione popolare attivato nella città vecchia di Taranto e, in parte, nel Quartiere Paolo VI di Taranto, è far sì che i/le subalterni/e possano costruire attraverso il processo di alfabetizzazione ed educazione la possibilità di dire la propria parola, di descrivere e trasformare il mondo, tenendo assieme in questo modo apprendimento e lotta, percorso di formazione e continuità/innovazione del conflitto sociale.Il processo pedagogico scolare è inteso come un percorso legato profondamente alle esigenze di liberazione ed emancipazione delle classi subalterne. La scuola popolare, nello specifico, si propone di contrastare i processi di esclusione, di individualizzazione e di impoverimento che coinvolgono tuttora ampi settori popolari. I/le giovani trovano la possibilità di inserirsi in una dinamica collettiva aperta ed accogliente, in cui valorizzare le loro capacità di apprendimento e affermare che esiste la possibilità di una crescita educativa e umana anche per chi è stato espulso dal sistema educativo, attraverso il riconoscimento del valore del sapere subalterno, delle competenze e delle esperienze di vita di chi viene dai quartieri popolari.Si tratta di un processo di soggettivizzazione politica che nasce dalla sperimentazione radicale delle pratiche pedagogiche a partire dalla quotidianità: i saperi “della lotta e per la lotta”, i saperi popolari e subalterni e quelli accademici convivono in un processo meticcio all’interno del progetto. La critica delle discipline, la centralità della dimensione politica dell’educazione e la connessione tra pratiche di lotta e cooperazione formano così parte integrante del processo di appropriazione e riconfigurazione dei saperi che viene sperimentato dall’educazione popolare. Nella vita quotidiana della scuola popolare possiamo ritrovare una sperimentazione educativa che tenta di infrangere l’ordine della spiegazione (Rancière), a partire dalla reinvenzione dell’educazione come pratica di liberazione e di trasformazione nell’incontro tra esperienze di lotta territoriali ed esigenze dei settori popolari nel contesto di precarietà ed emarginazione specifico della città di Taranto. La scuola come esperienza di educazione popolare viene quindi intesa come un vero e proprio movimento sociale: l’elemento di maggiore interesse di questa esperienza per i movimenti sociali nel pieno della crisi europea e mondiale sta proprio nella capacità di sperimentare nuove “istituzioni” – in questo caso iscritte in pieno nella tensione tra autonomia e “relazione” con lo stato – in cui facilitatori ed educandi sono parte di un processo di liberazione e di crescita comune. La funzione della scuola diventa quella di dare vita a nuovi processi di soggettivizzazione avendo “come aspirazione, la conformazione di soggetti politici” impegnati e compromessi con le lotte sociali, per rafforzare la lotta per l’egemonia di un modello alternativo al capitalismo.

Nella nostra attività, per convinzione politica oltre che per scelta pedagogica, costruiamo con i/le bambin* relazioni egualitarie: ci poniamo come accompagnatori e accompagnatrici di un percorso di autoeducazione in cui essi sono soggetti pienamente attivi. Il nostro obiettivo immediato è affrancarli dal senso di inadeguatezza che la scuola istituzionale genera attraverso nozioni, doveri e regole che oggettivamente soffocano la loro individualità e che sono estranei al loro ambiente sociale. L’obiettivo di fondo è aiutare i/le bambin* a crescere padroni di se stessi/e, a riconoscere la piena dignità della loro cultura di appartenenza e a non cadere nella trappola della rassegnazione e del vittimismo, con cui l’ordine politico e sociale previene la formazione di una coscienza di classe fra i gruppi sociali che tiene ai suoi margini.
La scuola popolare e’ un progetto complessivo che attualmente presenta due filoni: il dopo scuola e il   calcio popolare; tuttavia vorrebbe interessarsi di educazione popolare nella sua totalità. La Scuola popolare nasce dall’impegno di compagne e compagni del Comitato di quartiere Città vecchia e della biblioteca popolare, da anni attivo nel centro storico di una città violata e snaturata dalla grande industria e dalle forze armate con la complicità di una classe politica incapace e l’acquiescenza di una borghesia locale priva di identità culturale. Dopo anni di lotta in difesa del territorio e dei/delle suoi/sue abitanti è maturato il progetto di una scuola popolare, teso a contrastare quella condanna alla marginalità sociale con cui lo stato e il capitale segnano il destino di interi strati della popolazione

Il doposcuola
Crediamo che il primo atto ufficiale con cui lo Stato, di fatto, discrimina e condanna chi appartiene ai gruppi sociali più deboli sia la pagella scolastica; che ad essa seguano, a completare l’opera, un verbale di polizia e una sentenza della magistratura non è infrequente. Ebbene, noi intendiamo sottrarre i bambini della Città vecchia a questa condanna.La scuola popolare, in questo senso, funziona “al contrario”: crede nella trasversalità del messaggio, nell’educazione alle differenze e alla differenziazione del pensiero de* singol*, aiuta allo sviluppo di una comunità che sia solidale, che costruisca aspettative nuove e che rompa il sistema gerarchico imposto tra chi sta “dietro la cattedra”  e chi invece deve stare zitto ad “ascoltare” le solite nozioni.

COSA È MANCATO?

 Analisi condivisa dei bisogni, della domanda e dell’offerta. I bisogni di formazione vanno indagati, in maniera condivisa, attraverso un’analisi delle “situazioni-problema” (ovvero le situazioni percepite come problematiche dai soggetti) nelle situazioni di vita, per permettere che anche gli individui formulino domande di formazione. Tale circostanza potrebbe essere in grado di motivarli/e alla partecipazione.

 Sistema di educazione integratoSistema di educazione di forma “allargata”: La constatazione di ruoli educativi ricoperti da nuovi soggetti, che si aggiungono così a quello tradizionalmente attribuito alla scuola, conduce a formulare un’ipotesi che concerne l’idea di un sistema educativo aperto (Bertin) che si esplica in forme di collegamento tra scuola e territorio, in modo che gli educandi possano beneficiare di percorsi culturali differenti e vedere valorizzate le diverse componenti culturali di cui sono portatori e portatrici.

In questa prospettiva, gli organi extra-scolastici si connettono al loro contesto sociale e culturale, si aprono all’ambiente e alle istituzioni scolastiche, in una relazione di complementarietà e di interdipendenza delle reciproche risorse educative. Questa ipotesi potrebbe recuperare, in un certo senso, il progetto di una società educante che, attraverso le unità territoriali, sia in grado di svolgere un’analisi dei propri bisogni culturali e di predisporre le relative risposte in un processo di descolarizzazione.

Criticità
• l’intervento di per se  territoriale; non si e’ ancora pensato a come mettere insieme più realtà rionali per un progetto di educazione popolare che assuma una forma cittadina. • Resistenza pedagogica • Omologazione terminologica (E quindi capitalista)• Le unità didattiche sono perlopiù informative e non conflittuali• l’azione politica viene fraintesa come mero volontariato assistenziale.

PROGETTO SPORT POPOLARE

Il progetto del Calcio Popolare nasce in maniera strettamente legata all’esperienza dell’educazione popolare dei comitati di quartiere, in particolare, dalla richiesta esplicita de* ragazz* del quartiere di poter praticare liberamente e gratuitamente attività sportiva.I settori giovanili delle varie discipline sportive sono stati assorbiti dalla mercificazione globale, in cui ogni cosa diventa prodotto e conseguente profitto, le grosse spese da dover sopportare per dare la possibilità ad un* ragazz* di praticare sport creano già di per se’ delle forti classificazioni sociali tra “chi può e chi non può”. In questo senso, i/le ragazz* dei quartiere più disagiati subiscono una forte discriminazione a causa della mancanza di risorse economiche in primis ed inoltre dall’assenza di spazi adeguati  dove poter giocare e socializzare senza dover pagare le famigerate “quote campo”. A nostro parere la definizione di “sport popolare” rientra nel concetto di riappropriazione di spazi attraverso meccanismi di autogestione e autoorganizzazione orizzontale e partecipata, con lo scopo di poter abbattere la cultura della delega e delle gerarchie, presenti in tutti i campi della società attuale.Nella nostra esperienza le scelte vengono fatte dal gruppo tenendo alla pari sia le proposte de* ragazz* che quelle degli adulti “facilitatori”, si sperimenta l’assenza di ruoli : tutti i facilitatori si alternano nelle mansioni evitando gerarchie all’interno del gruppo (non esistono allenatori in prima o in seconda) e tra i ragazzi non c’è’ un capitano, volutamente, per non creare o legittimare leadership tra i ragazzi (nei tornei in cui si deve scegliere per regolamento si fa a giro).

Gli sport di squadra, come il calcio, aiutano a praticare la cooperazione nell’unità di intenti per il raggiungimento di un obiettivo comune attraverso lo sviluppo delle proprie capacità, non solo tecniche, a disposizione della collettività in un reciproco scambio solidale ed equo tra i componenti del gruppo.Tra le pratiche utilizzate riteniamo che una delle più importanti sia il momento del “centrocampo”: una forma assembleare, che se pur limitata temporalmente, al momento stesso e’ essenziale ed efficace per analizzare sia gli atteggiamenti avuti durante partite o allenamenti sia la possibilità di creare percorsi di coesione sociale anche slegati dall’ambito sportivo.Nel corso degli interventi fatti all’interno dell’esperienza di calcio educativo, pur innescando dei tentativi di collaborazione e avvicinamento nei confronti dei genitori, attraverso pranzi sociali e trasferte mirate al confronto con altre realtà, come quella di Bagnoli “La Flegrea”, non abbiamo riscontrato collaborazione pur stabilendo fiducia e stima. Azioni dovute al miglioramento del progetto. Un altro aspetto importante è la mancanza di realtà, all’interno del nostro territorio che possa creare un circuito alternativo alle strutture di sussunzione di profitto. Infine la non accettazione di una sconfitta che crea accuse reciproche di responsabilità, dove l’agonismo si confronta solo attraverso la competizione e non come un bisogno di migliorare le proprie capacità.

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